Prefazione
Generalmente da chi presenta un nuovo libro ci si attende sia una valutazione della forma e dei contenuti, sia un suggerimento per le chiavi di lettura da adottare.
Non posso che deludere la prima attesa: mi trovo in una situazione simile a quella di chi deve valutare crìticamente un film-documentario di cui è protagonista egli stesso e la sua famigliai
Sono uno dei personaggi abbozzati con gustosa ironia nelle testimonianze descrìtte. Recito, infatti, il ruolo del "Referente".
Come altri compagni di lavoro che hanno letto il manoscritto, sono stato coinvolto nel riconoscere fatti e personaggi come succederebbe ai membri ài una famiglia alla proiezione di un loro film, tutti noi non abbiamo certo le carte in regola per dare una valutazione oggettiva ed attendibile!
Anche per quanto riguarda il compito di suggerire alcune chiavi di lettura il problema non è di facile soluzione.
Ciascuno, a mio avviso, è autorizzato a scegliere la sua.
Le "scene dal vero" descritte nelle pagine seguenti potrebbero essere lette come la testimonianza della nostra scommessa, mai completamente vinta, contro coloro che ritengono che occuparsi della risocializzazione del "residuo" di tre ospedali psichiatrici ormai chiusi, sia una impresa impossibile, scientificamente inutile ed operativamente troppo dispendiosa: i cosidetti "pazienti cronici", proprio perché costituiscono la dimostrazione della inadeguatezza delle cure praticate, piacciono poco a molti operatori sanitari!
Altri al contrario possono leggere il resoconto di Chiara Sasso come il tentativo di descrivere un processo di riabilitazione psichiatrica per il quale la scienza non ha ancora inventato né nuovi paradigmi e neppure un linguaggio congruente per trasmettere metodi e tecniche: sarebbe quindi stato giocoforza affidarsi alla penna di una scrittrice "non addetta ai lavori".
Altri, a giusto titolo possono trovare in queste pagine la testimonianza dello straordinario lavoro, mai completamente riconosciuto dalla psichiatria ufficiale, di quegli infermieri od ausiliari del vecchio manicomio che, riscattandosi da una immagine pubblica e stereotipata di custodi violenti ed ignoranti, sono invece stati i veri protagonisti, molto più degli stessi medici, pur tra mille difficoltà e crisi, della rivoluzione epistemologica ed operazionale che la nuova fase della "storia" della psichiatria ci ha imposto. Varrebbe sicuramente la pena che questa loro "professionalità allargata" fosse ricuperata: potrebbe servire da riferimento non solo per la formazione di nuovi operatori, ma soprattutto per contribuire all'attuale dibattito sulla "terapia delle psicosi".
Molti, per converso, con altrettanta fondatezza, potrebbero rilevare come questo libro testimoni il contributo insostituibile di tanti giovani nuovi "operatori d'appoggio", soci delle cooperative di servizio alla persona nate in questi ultimi anni. Queste nuove "istituzioni" stanno realizzando in concreto, superando le pastoie burocraticbe ed i corporativismi dei servizi pubblici, la riforma psichiatrica.
I cultori della "psicologia ambientale" possono poi leggere queste pagine come il protocollo di un esperimento di "psicoterapia ambientale a settìng allargato" dove, per favorire il cambiamento comportamentale di operatori sanitari e dì pazienti in senso riabilitativo, il lavoro terapeutico è teso sia alla modifica diretta dell'"ambiente" (soprattutto per quanto riguarda i rapporti socioeconomici fra soggetti) sia alla modifica della percezione che dell'ambiente hanno gli stessi protagonisti di questo processo.
I lettori più interessati agli aspetti politico-organizzativi che a quelli più strettamente tecnico-terapeutici potrebbero verìficare, attraverso le esperienze descrìtte, come, nonostante tutte le inadeguatezze delle leggi di riforma e la sempre più paralizzante macchinosità degli organismi politico-amministrativi incaricati di realizzarle, è possibile (a certe condizioni minime di buona volontà dì tecnici e di amministratori) rendere concreto nello spirito e nella lettera il "superamento dell'Ospedale psichiatrico" voluto dalla legge 180, evitando sia le dimissioni selvagge sia la mortifera sclerotizzazione dell'immobilità.
Ma questo difficile processo è tentabile, ed è una delle altre possibili chiavi di lettura di queste pagine, solo facendo leva sulla mai sopita soggettività degli ex intemati: pare paradossale ma, come dice nel racconto una delle protagoniste: "non è mai troppo tardi per ricominciare...". Che ciò dicano e lo dimostrino possibile nei fatti, decine di vecchi ex intemati abbandonati da decenni in manicomio, non è solo la dimostrazione della colpevole pigrizia culturale ed operativa di quei tecnici che li hanno etichettati come "cronici non autosufficienti", ma un incredibile messaggio di speranza per centinaia di cittadini anziani sempre più costretti al bivio tra l'aggettivazione da parte dei servizi sociali e sanitari e l'abbandono.
Certamente una volta lasciati aperti i cancelli ed abbattuti i muri del manicomio è determinante che, nel lavoro di superamento, sia coinvolto un numero crescente di cittadini: questo libro può anche essere la testimonianza di questa difficile ma indispensabile osmosi.
Fra le possibili modalità di lettura della documentazione di seguito riportata è persino comprensibile il pregiudizio di chi vede nelle nostre vicende giornaliere la dimostrazione che le pratiche della cosiddetta "psichiatrìa democratica" non sono altro che "una accozzaglia di belle intenzioni e di improvvisazioni operative prive di qualsiasi spessore scientifico". Tale drastico giudizio anche se inaccettabile, va comunque compreso: dopo cent'anni il potere medico è riuscito a convincere fasce sempre più larghe di cittadini che, anche per la follia, devono valere le stesse regole meccanicamente causali della istituzionalizzazione della malattia.
Diagnosticata la "eziologia" e praticata la "terapia" è normale attendersi la "guarigione clinica"; se poi questo semplicistico processo di causa-effetto non si verifica, trovandoci di fronte alla "cronicità" (per definizione incurabile) non c'è altra alternativa che la ospedalizzazione.
Sono ancora in molti a credere, in perfetta buona fede, che il problema della risposta corretta alla "follia" vada unicamente ricercato in strutture murarie efficienti e pulite, ed in operatori sanitari formalmente preparati secondo i canoni tradizionali, nelle cmpetenti sedi universitarie.
Se si continua a credere possibile la rassicurante ipotesi della psichiatria positivista di cento anni fa e non si fanno i conti con la complessità della propria e dell'altrui follia, il ritorno alla necessità della cultura manicomiale è inevitabile!
A ben riflettere tutti i precedenti suggerimenti derivano dalla mia deformazione di tecnico sanitario: fra le possibili chiavi di lettura quella che forse più si avvicina alla esperienza ed alla militanza della giovane autrice, è quella di vedere nelle vicende dell'area di Grugliasco uno degli esempi della continua, faticosa, mai completamente vinta battaglia fra sfruttati e sfruttatori.
Anche se questa analisi è ormai fuori moda, perché non sempre è facile identificare con sicurezza manichea chi sta da una parte e chi sta dall'altra, è invece precisa la collocazione volutamente partigiana dell'autrice: dalla parte delle donne contro lo sfruttamento maschile, dalla parte dei pazienti contro i soprusi degli operatori, dalla parte degli infermieri contro il potere disinformato dei tecnici, dalla parte dei montanari della Valle di Susa contro il colonialismo dei torinesi!
Mi pare questo il modo migliore per presentare il contributo di Chiara Sasso, uno dei molti cittadini "non addetti ai lavori" che ci sono stati particolarmente vicini in questa nostra lotta. Invitata due anni fa a partecipare ad un gruppo di formazione di operatrici dell'area (sullo specifico argomento della "condizione femminile e follia" coordinato da Maria Teresa Battaglino) ha voluto darci questo contributo, che raccoglie alcuni avvenimenti nell'area dal marzo '86 all'inverno del 1987, periodo in cui l'autrice è stata testimone del nostro lavoro.
Se la sua presenza ha potuto essere in prima persona in molte delle attività aperte a tutti i cittadini (gite, feste, pranzi, balli, ...), ella ha poi dovuto individualmente guadagnarsi la fiducia e l'amicizia di alcune operatrici ed alcuni ospiti per ottenere, tramite loro, le informazioni supplementari.
La conseguente "parzialità" e la voluta partigianeria delle descrizioni è la migliore dimostrazione della genuinità della sua testimonianza.
Questa ultima fatica della Sasso è già stata utilizzata fra noi operatori e con gruppi di pazienti: ne è risultato uno stimolante strumento di lavoro. Mi auguro che anche gli altri lettori, con l'ausilio del glossario preparato dalla CASAP, possano partecipare, anche indirettamente, a questa nostra faticosa lotta quotidiana. La loro partecipazione è per noi sempre più necessaria e proprio in questi giorni ne sentiamo più viva l'esigenza: alle consuete crescenti difficoltà ed inadeguatezze delle risorse economiche, organizzative e personali a nostra disposizione, alle sempre maggiori resistenze delle vecchie corporazioni sanitarie verso il nostro operare, proprio questa estate si è aggiunta l'allontanamento dal suo posto di responsabile regionale per i servizi di salute mentale di Agostino Pirella che delle nostre esperienze è stato non solo un entusiasta sostenitore, ma anche, specie nei momenti più difficili, l'intelligente suggeritore, sulle orme di Franco Basaglia, di soluzioni che ci spingessero a cercare "la teorìa nella pratica quotidiana e l'impegno sociale nella ricerca scientìfica".
Paolo Henry
responsabile del "Progetto di superamento
dell'Ospedale Psichiatrico di Grugliasco"
USSL 24 (Collegno-Grugliasco)
Settembre 1988
Dal libro è stato tratto uno speciale sulla vita di Rosanna Soffietti (una delle protagoniste del libro)
a cura del regista Michele Gandin per Storie Vere Rai Tre (aprile 1991)
Natalie Ginzbourg durante la presentazione del libro in parlamento alla presenza di ospiti e operatori (novembre 1989)
Aldo Consorte e Rosanna Soffietti
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